Trapped

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Per i posteri

Stavo scorrendo delle fotografie in un social molto in voga.
Mi sono reso conto che, a parte la mia età non più tenera, in realtà io in questo mondo, in questo tempo, non ho proprio niente da offrire né da poter sperare di ricevere.

Non sono famoso (nemmeno lo sono stato per quei famosi 15 minuti),
non sono bello nemmeno da sembrare uno famoso,
non sono prestante fisicamente,
non sono biondo,
non ho gli occhi azzurri e nemmeno chiari ma scialbamente marroni,
non sono atletico,
non sono brillante,
non so dare sicurezza,
non so dare consigli da meme,
non so fingere di essere distaccato,
non so dare l’impressione di non aver bisogno di nessuno e quindi un duro,
non ho un lavoro figo (tutt’altro.. anzi forse è il posto giusto per quello che sono),
non sono abbastanza scaltro e ipocrita da ricorrere a scorciatoie per ottenere quello che voglio,
non so quasi mai dire di no e questo mi porta quasi sempre un dispiacere,
le mie idee sono sconvenienti e impopolari da sempre,
dopo di me scomparirà tutto di me e di questa mia insulsa presenza in questo mondo.
Forse quest’ultima cosa è l’unica nota positiva. Se qualcuno dovesse somigliarmi e vivere la vita come la vivo io, allora è meglio che si risparmi queste amarezze.

Sono stanco.
Davvero.
Non voglio aspettare di scivolare giù nel lavandino.
Non voglio la compassione di nessuno.
Non voglio più avere la sensazione di essere evitato o cercato solo quando servo.
Non voglio più avere la sensazione di essere un pericolo, un oggetto indesiderato, il passatempo di una sera.
Non voglio più avere una speranza che mi frega tutte le volte.
Basta illusioni, basta con questa mente che non si vuole spegnere, basta paura di perdere sempre e solo io. Perché alla fine è così ma almeno lasciare andare. Tutto.
Pensate pure che io mi pianga addosso o che voglia suscitare sentimenti benevoli nei miei confronti: è solo la prova finale che quel che dico è vero dato che in questo mondo, per questi uomini, per gli altri soprattutto, tertium non datur.

Ho vissuto momenti in cui forse ho sperato di fare parte di questo carrozzone e che avessi un senso anche solo per me, non come un mezzo ad uso e consumo di qualcos’altro o qualcun altro.
«Onen i-Estel Edain, ú-chebin estel anim»

Rimane l’amarezza. La sento fisicamente come qualcosa che mi goccia da dentro il petto. Un vuoto arido, asciutto, che a volte alcune gocce di pioggia inumidiscono ma che poi lasciano l’affanno del calore che ti soffoca.
Nuvole inarrivabili.
Come scrissi molti anni fa: “si può odiare così tanto il sole ?”.

Racconto da un fumetto.

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...passai davanti a una libreria.. e appresi che era uscito un vostro "nuovo" libro, un romanzo inedito rimasto nascosto per quasi un secolo, in seguito a precise disposizioni da voi lasciate all'editore.. parlava di un mondo del futuro, un futuro simile a quelli che solitamente mostravate nei vostri libri.. un mondo traboccante di entusiasmo e di ingenuità, dove la tecnologia era al servizio dell'uomo.

Un mondo molto diverso, da quello che poi sarebbe stata la realtà.. pieno di macchine volanti e altre meraviglie nel quale due geniali scienziati, un inglese e un francese, le cui invenzioni avevano già portato alla vittoria finale della 1^ Guerra Mondiale, avevano messo a punto una incredibile invenzione.. e cioè una macchina pensante dotata di una tastiera per impartire i comandi collegata ad uno schermo per visualizzare istantaneamente il risultato..

I comandi venivano impartiti alla macchina facendo uso di un particolare linguaggio elaborato dal francese mentre il funzionamento del prodigioso apparecchio richiedeva una bassissima quantità di energia, grazie a schegge di silicio sulle quali venivano impressi i necessari circuiti..

In altre parole, il romanzo descriveva l'invenzione dei moderni computer... una cosa assolutamente impossibile da anticipare, ai vostri tempi.. a meno di non averla vista con i propri occhi.

I due scienziati lanciarono sul mercato l'invenzione.. che, naturalmente, fu un successo e, per non farla troppo lunga, alla fine si misero in società con un magnate americano grazie al quale riuscirono letteralmente a invadere il mondo intero, schiacciando persino la concorrenza di un gruppo economico orientale, loro rivale..

Svilupparono inoltre un linguaggio universale che rendeva compatibili tra di loro tutti i computer e fu trovato anche il modo di collegare tra di loro le "macchine pensanti", creando di fatto una rete di ordinatori, insomma, il vostro romanzo descriveva nientemeno che la nascita di Internet.. un'altra anticipazione che sarebbe stata impossibile, all'epoca..

..E non fu l'unica cosa a stupirmi: a differenza delle altre vostre opere, secondo le quali lo sviluppo scientifico porta sempre conseguenze positive, il libro aveva un finale pessimistico.

La rete si estese a dismisura, al di là della volontà dei suoi stessi creatori e, in breve, ogni abitante dell'occidente (o meglio del Blocco Boreo Occidentale) era collegato a un "ordinatore" del quale, ben presto, nessuno riuscì più a fare a meno, come se si fosse trattato di una droga.. il tutto controllato da una rigida e ristretta oligarchia economica "I Controllori"... che riuscirono di fatto a imporre la loro volontà a una popolazione divenuta inerte e che veniva tenuta, di fatto, addormentata grazie alla rete e ai suoi programmi..

Si sviluppò quindi una società acquiescente e spersonalizzata, felice della sua condizione di dipendenza da qualcuno che decideva per tutti..mentre, nei paesi del terzo mondo, venivano combattute guerre poco pubblicizzate che, comunque, non suscitavano l'indignazione di nessuno.

Naturalmente, si trattava di guerre decise dai "Controllori" per difendere i loro interessi economici..

La scena conclusiva del romanzo è a dir poco inquietante: a distanza di molti anni, a un uomo qualunque sorge il dubbio che la "macchina pensante" NON sia infallibile, e che NON faccia il suo interesse.. è appena l'ombra di un dubbio, però.. però l'uomo effettua un enorme sforzo per uscire dal programma di rete e ricondurre l'ordinatore nel "modo" personale, cioè per servirsi di programmi specifici secondo le proprie esigenze.

Non ricorda più nemmeno quando si è verificata l'ultima occasione (se mai ce n'era stata una) in cui aveva adoperato l'apparecchio come un semplice strumento.. e decide di effettare un elementare test:

1
1 + 1
1 + 1 =
1 + 1 = 3

L'uomo tira un sospiro di sollievo: l'ordinatore aveva risposto correttamente; e del resto non sarebbe potuto accadere diversamente: l'ordinatore era infallibile...

Ascolta. Piove…

Ascolta. Piove…

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Non ricordo una vacanza prima di quella. Probabilmente dovrò abituarmi a non ricordarne tante altre che non ci saranno. Eppure quello della foto, fu una delle due occasioni in cui si partì da quel posto che mi parve anonimo e scialbo, per trascorrere una settimana in mezzo a monti che mi facevano da rifugio.

Lontano da una palude senz’acqua. Da una malsana abitudine senza scopo. Una parvenza di normalità, l’illusione forse di riscattare un passato che non ebbe alternative a quelle poco piacevoli dettate da una malattia che sarebbe tornata a tentare di soffocarmi.

Lo scrosciare delle acque davano la sensazione di lavare via tutto quel peso che in questi lunghi anni mi portavo dietro. Era persino poco assurdo immaginare di entrare tra i flutti senza sentire minimamente freddo.

Una piccola talpa impaurita cercava il modo di scendere dalla canaletta di legno e conquistare la sicurezza dell’erba folta e bagnata. Se solo avessi saputo che non ero un pericolo per te. Ti avrei persino aiutata. Ma in fondo se mi fossi dovuto mettere nei tuoi panni, come avrei potuto pensare che quella sagoma gigantesta mi avrebbe posata delicatamente a terra dopo avermi rivolto un tenero saluto ?

Vorrei tornarci se non altro per risentire quel rumore. E chissà se ti rivedrei più ?

Particolare dell’impianto idraulico di azionamento della segheria idraulica presso Canal San Bovo (TN). Ecomuseo del Vanoi.

Delitti, castighi e la gogna social.

Delitti, castighi e la gogna social.

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Non so se sia come quando cade un aereo e poi per un buon mese ne cadono altri come mosche in autunno, ma questo che stiamo vivendo sembra un periodo, leggendo i giornali, in cui tanti ragazzi muoiono per le botte rimediate da esseri che sembrano tutto fuorché umani.
Eppure entrambi sono esseri umani. E no, non voglio fare un discorso “buonista” come spesso si viene accusati proprio da coloro che quella violenza la dispensano o vorrebbero dispensarla a piene mani.

Guardavo le foto dei protagonisti di questo delitto.
Della vittima, un ragazzo di 21 anni, le puoi trovare negli articoli che ne parlano, parole struggenti della mamma e degli amici. Un bruttissimo episodio come se ne leggono oramai troppo spesso.
Ma la mia curiosità, forse come per molte altre persone mi ha spinto a cercare i colpevoli.
Di questi a parte una foto presa dai profili FB, si trova poco tranne per uno di essi che o per dimenticanza o per spavalderia a oltranza, ha pubblicato un video “divertente” anche dopo il fatto e ha lasciato il proprio profilo aperto persino ai commenti degli estranei.

Sono rimasto colpito dalle foto di uno di quegli assassini.
Le immagini sulla sua home page mostrano il tipico cultore del proprio corpo, tutto muscoli, le pose tipiche, lo sguardo truce e “consapevole” della propria prestanza fisica.

Repubblica ha messo anche sui tanti tatuaggi che rivestono quel corpo, tra le caratteristiche da evidenziare.
E’ la solita Repubblica, sempre più ricurva sui luoghi comuni che l’accomunano quasi a quei giornali che dovrebbero essere suoi antagonisti politici e invece lo sono solo per le vendite.

Scorrendo le foto del suo album, se si va abbastanza indietro nel tempo, si vedono le foto di quando era poco più che adolescente. Quando nei selfie provava le pose da duro, coi capelli alla moda, lo sguardo di quello che “ehi, state attenti voi…” ma forse allora ancora qualcuno che “voleva essere” e magari non era. Questo non lo so.
E’ la trasformazione che è impressionante e non solo nel corpo a quanto si è visto. E’ facile chiedersi come si possa diventare una persona che riesca a tenere separato ciò che fa dal rimorso che ne dovrebbe derivare.

Ma dopo questo, i miei occhi vanno sui post e gli inevitabili commenti di coloro che dopo la terribile notizia si son messi alla caccia del mostro.
Come si può immaginare la massa di insulti che si è riversata sul profilo incriminato non ha pari. Se il pomeriggio se ne contavano a poche centinaia, la sera tardi erano già quasi 4000 mentre il contatore continua a salire.
Le sue amicizie da oltre 3300 ovviamente sono diminuite. Tutte persone che per ripugnanza o per opportunità, immagino, hanno cancellato il suo nominativo dalla propria lista degli amici.

Non mi sento certo di condannare questi ultimi, ma.. rimango perplesso per coloro che arrivano a frotte per insultare.
Oltre alle manifestazioni di disgusto, appaiono gli auguri di morte, di stupro in prigione, le promesse di pari trattamento anche in gruppo. Persino da profili in cui la foto tutto ti fa pensare tranne che i proprietari siano davvero capaci di mettere in pratica il proposito scritto.
Il pensiero successivo è un sospetto: che molti dei commentatori si siano dimenticati della vittima e della sua vita finita anzitempo.
Il sospetto che anche in momenti come questi ad un male se ne aggiunga un altro è molto forte. Un male nato dalla frustrazione forse, magari dalla voglia di apparire, di partecipare in gruppo alla gogna “ché tanto chi mi vede lì in mezzo a tutti quei commenti ?”.

Arrivo, getto il sasso della lapidazione e poi me ne torno dietro a guardare gli altri e l’effetto che fa. Però in una realtà che mi fa sentire irraggiungibile.

Io magari sono troppo pesante nei miei ragionamenti, ma giuro che la cosa non mi mette affatto sicurezza. Non mi fa per niente pensare di stare in mezzo a persone che hanno terrore della violenza gratuita.
Tutt’altro.
E’ un po’ il solito discorso che si fa sui Social Network e sulla loro effettiva utilità e pericolo potenziale per l’anima di una comunità che oramai è grande come il nostro pianeta.

In pratica credo che poco sia cambiato da quando si andava in piazza perché il carretto arrivava con la persona pronta per il patibolo.
E si badi bene, non nutro alcuna simpatia né comprensione verso quei ragazzi che hanno ammazzato uno più giovane e indifeso di loro.
Rappresentano ciò che ho sempre aborrito fin da ragazzo e avrei motivi di rivalsa io stesso verso personaggi come questi.

Eppure la strada davanti a noi non mi pare affatto illuminata.

Ricordo.

Ricordo.

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Ricordo quel giorno. Un’edizione straordinaria, tante macerie, la gente dall’espressione terrorizzata, incredula, qualcuno che si muoveva dando l’idea che stesse facendo qualcosa e magari era così o solo per avere l’impressione di poter fare qualcosa. I vigili del fuoco e le forze dell’ordine, la voce del commentatore televisivo. Un tono che tanto e troppe volte avrei riascoltato nelle ritrasmissioni dei filmati d’epoca.. nelle tante e troppe tragedie che hanno sconquassato la nostra storia recente.

Frecce di carta nel muro

L’orologio fermo. Diventerà il simbolo ma, non sono molto sicuro che sia il simbolo di una strage di innocenti, piuttosto del tempo che si è fermato e da allora non è più ripartito. Per loro che sono morti, per i loro cari, per la nostra idea di libertà, per la nostra idea di democrazia, ma soprattutto l’ennesimo orologio rotto nel tempo della giustizia. Che non è quella con la bava verde che oggi vorrebbe impiccato qualcuno anche solo per un divieto di sosta, bensì quella dovuta alla dignità e al senso di anche una sola vita di un essere umano (ma direi vivente) strappata via per cosa ? Qualcosa di più grande ? E cosa sarebbe questa cosa più grande ? Perché poi vai a intravedere (perché non vedrai mai tutto il quadro completo, puoi intuirlo. sì ma qualcuno beffardamente ti farà notare che non saprai mai) ed è sempre il vantaggio di quei pochi da sempre e per sempre (?)

Nelle nostre case al sicuro (?)

Ricordo i miei genitori che guardavano attoniti la tv. Come la guardarono anni prima, attoniti, forse come mi sentivo anche io che pure avevo solo 13 anni ma se ci vado a pensare indietro coi ricordi, mi ritrovo ancora ad aver paura, terrore, non ci dormivo la notte.

C’era una trasmissione allora, era il 1974, si chiamava “A-Z un fatto, come e perché”. La sua sigla era una musica che assomigliava ad una nenia (riascoltandone l’introduzione ho scoperto che erano degli archi) che ti entrava nel cervello e non ho più potuto separarla dalle immagini di poveri corpi coperti da lenzuola e senza vita. Pezzi di arredo stradale sparsi in giro per la piazza. Le solite persone che girano in mezzo a tutto questo e tu da ingenuo ignorante non capisci se siano solo curiosi, investigatori, volenterosi o magari solerti depistatori.

Un fiume che tutto travolge. Ma a qualcuno di più.

Quarant’anni. Passati invano qualcuno direbbe nelle sue cronache. Ma non è retorica, è la verità. Perché come è già successo in altri episodi, le responsabilità sono fumose, i personaggi una sagoma anonima di cartone, alcuni muoiono per cause naturali o per malattia, ben sapendo che anche se non saranno mai giudicati da nessuno, comunque un’assoluzione, qui sulla terra, qualcuno gliel’avrà comminata in qualche modo. Chi siamo noi per indagare quegli oscuri disegni, dopotutto ? E coloro che son rimasti impigliati nelle maglie di ciò che rimane della giustizia, col tempo vivono una vita migliore della tua. Mentre la tua vita è rimasta segnata da quei fatti.. è l’economia dell’universo (mi diceva qualcuno) ma i conti non ci tornano mai. Pensa un po’ se son tornati a chi quel mattino è uscito per partire o per andare a prendere chi tornava… e non è mai più tornato.

Alla fine suonò la sveglia.

Alla fine suonò la sveglia.

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Non ricordo l’anno, ma se dovessi ragionarci su, tenuto conto che il primo allargamento avvenne nel 1973, probabilmente stiamo parlando degli anni che vanno dal 1975 al 1977.

Io frequentavo ancora le elementari ma ricordo molto bene i manifesti appesi vicino alle cartine dell’Italia fisica e politica. Però se vuoi inculcare un’idea nella mente di qualcuno, cosa c’è di meglio di fargli interpretare visivamente quell’idea fissandola su di un bel “bristol” ?

Così la maestra ci chiese di rappresentare le bandiere dei paesi europei che allora facevano parte di quel patto che iniziò coi Trattati di Roma. Già bell’e pronte campeggiavano immagini di persone nei costumi tipici di quegli Stati che si impegnavano a vedersi come un sol popolo. Immagini femminili solitamente, un po’ come qui.

Chissà poi perché proprio immagini di donne. Magari per darti l’idea di un’Europa accogliente, mamma con noi bambini.

Ci impegnammo molto nei nostri piccoli lavoretti. Le parole della maestra, i colori delle bandiere, soprattutto quelle mi rimasero così impressi nella mente che quando ero a casa, le riproducevo e le ritagliavo nei fogli di carta disponendole una vicino all’altra. A volte facevo delle gare, come poi avrei fatto insieme ai miei amici con le figurine Panini di calcio.

Ci ho creduto molto. Ma io ho creduto all’immagine che mi vendettero allora: un’Europa di persone amiche che volevano incontrarsi, che volevano vivere in pace come fratelli.

Ero piccolo, lo so, ma avevo ben chiaro anche a 9-10 anni che il nostro passato era stato costellato di conflitti, di alleanze formate e rotte e poi riaggiustate in qualche modo.

Con quei nostri fratelli poco distanti, dietro quel muro, dove doveva aprirsi una porta, una finestra perché ci fidassimo gli uni degli altri.

Ci ho creduto molto.

Poi giunse il mattino e…

Fu un brutto risveglio.

Ci avevano fregato. Eravamo quei bambini ai quali si promette di comprare lo zucchero filato quando vai alla fiera e poi torni a casa a mani vuote con la solita scusa che “eh, te lo compreremo la prossima volta, su..”

Mi son sempre chiesto se i miei ex compagni di classe avessero memoria dei quei giorni di speranza. Se anche loro vivevano come me il sogno di sorrisi intorno a noi, di strette di mano, di bambini dei quali non riesci ad afferrare bene le parole ma capisci che in fondo volete la stessa cosa: giocare insieme.

Persino gli adulti vengono rappresentati quasi come se stessero giocando o comunque svolgendo un’attività ricreativa e divertente.
[magari sono io che non ne sono capace, ma non riesco a trovare sul web ulteriori immagini promozionali riferite alla costituzione e all’allargamento della Comunità Europea]

Qualcosa è andato storto

Qualcuno disse che a pensar male si fa peccato ma spesso si coglie nel segno e sappiamo tutti che i maestri del savoir vivre, ci insegnano che le opportunità devono essere colte al volo.

A voler essere benevoli, forse all’inizio questa Unione doveva essere qualcosa che potesse assomigliare alla proverbiale Arcadia dei classici, una zona che voleva mostrare al mondo che si poteva vivere in pace e in collaborazione senza stare troppo in Occidente d’Oltreoceano, ma senza ricorrere all’esperienza del collettivismo le cui istanze erano allora molto forti nella nostra società.

Certo è che da un iniziale entusiasmo in cui si poteva intravedere un futuro di cooperazione e di reale conoscenza tra le culture (chi non ricorda quella bella trasmissione che fu “Jeux sans frontières” anche se improntata sul piano ludico?) si è via via scivolati verso un economismo sempre più accentuato.

E’ vero, le premesse almeno nominalmente non potevano dare adito ad illusioni, del resto si chiamava Comunità ECONOMICA Europea ma come accade spesso quando vuoi imbonire qualcuno, devi mostrargli il lato con candeline scintillanti.

Solo che poi le candeline si spengono e resta in mano la cruda realtà. Ed è stata una realtà che si è rivolta come un treno direttissimo verso la contrazione di tutto ciò che di buono esisteva nelle nostre vite.

C.E.E. Contabilità Economica Europea

Così al posto delle persone, le uniche felicità divennero quelle di chi in tutto questo ebbe un beneficio economico senza i proverbiali lacciuoli così tanto odiati da una certa dottrina/ideologia economica.

La grande concentrazione, vuoi di merci che di danaro, han conosciuto negli anni un benessere che solo la nostra cecità può vedere in crisi da oltre dieci anni.

Non seguite le persone, non tutte almeno. Perché quelle hanno alterne fortune e solo poche (relativamente poche ma di solito le stesse) restano sempre in piedi.

Seguite il capitale.
E’ con quello che ci troviamo ogni giorno a combattere e non tanto per mantenere un tenore di vita che diventa sempre più assurdo, ma che va a intaccare anche solo i più elementari bisogni di sussistenza che va dalla cura della salute, all’istruzione alla portata di tutti, a servizi che non distruggano il nostro mondo, alla possibilità di nutrirsi con cibo sano e che non sia solo a buon mercato perché trattasi di spazzatura.

Lo vediamo in giorni come questi, in cui si deve decidere come destinare i soldi che tutti gli anni si accumulano nelle banche che fan capo alla UE (Unione Europea) per far fronte all’ulteriore crisi dovuta alla pandemia che sta attraversando ancora il pianeta.

La legge della savana

Tutti contro tutti, in un gioco di alleanze che van bene oggi e domani non più.
Nessuno che si fida di nessuno e forse han ragione dato che l’unica leva che ci spinge è l’interesse particolare.
Un interesse poi che non è mica di un paese, ma di chi in quel paese gestisce il potere politico e della finanza. Perché se andiamo a vedere poi, i bisogno miei di italiano lavoratore medio, non sono diversi dal mio corrispondente tedesco, spagnolo, francese greco o quel che sia.
Tutti noi vorremmo avere una vita tranquilla, dove lavorare, poter avere sulla tavola tutti i giorni ciò che serve, poterci curare quando occorre, poterci divertire nel tempo libero e soddisfare la propria crescita personale.

Ma a quanto pare queste cose vitali sono diventate un lusso che non ci possiamo più permettere.

E allora anziché esigere una vita tranquilla e degna di essere vissuta senza ricorrere all’eroismo anglosassone o al sacrificio cristiano, che in fondo essendo interesse della stragrande maggioranza dovrebbe riuscire anche facile da ottenere, nella nostra estrema capacità di zapparci i piedi, ascoltiamo coloro che ci spiegano che l’altro è nostro nemico, che vuole vivere agiatamente alle nostre spalle, che ci frena nella nostra innata capacità di risolvere qualsiasi problema da “razza eletta” quale siamo per vivere alle nostre spalle come una sanguisuga.

All’inizio erano gli immigrati, poi i nostri vicini europei oltrecortina dopo la caduta del muro, ora i nostri dirimpettai.

Tutti insieme ci circondano e noi circondiamo loro.
Cosa vogliono da noi ?
Vero è che chiunque sogna una vita migliore di quella che ha, ma mai nessuno che si chieda davvero cosa ha creato queste disparità, quei soldi che nessuno ha fatto sparire nel nulla o ha bruciato ma che esistono da qualche parte.

E anche in quel caso si tirano in ballo entità astratte o comunque accessiorie e funzionali come lo sono le banche che non sono che un luogo oramai nemmeno più fisico dato che la moneta sta diventando sempre più elettronica e sempre meno palpabile da poter decidere quanta ne vuoi davvero in tasca.

Ci serve un nemico e rendiamo visibile un fantoccio per nascondere il tizio sopra che muove i fili. Talmente abituati a guardarci la punta delle scarpe… chi ha più voglia di alzare la testa in alto ?

Non ricordo chi mi disse un giorno che negli Stati Uniti non esistono poveri, ma solo miliardari in temporanea difficoltà economica, però è evidente come anche noi ci siamo fatti trascinare in questo spirito di révanche, da vittoria mutilata, da attaccante trattenuto per la maglietta senza voler vedere che quel braccio che ti trattiene non è di chi sta in campo lì con te, ma ti sta guardando correre dalla tribuna d’onore.

E finiamo per diventarne complici noi stessi, sposandone l’ideologia, sennò poi come fa quel signore che si lamentava di tutto,  piagnucolando sulla condizione del lavoro, a decidere infine che se vuoi sopravvivere in questa vita/savana devi essere spietato ?

Le persone credono meglio di sentirsi degli eroi piuttosto che tirar giù i signori dalla tribuna.
Credo

Credo

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Ogni volta che osservo il comportamento di un animale più o meno “vicino” a noi esseri umani, mi rendo conto di ciò che più o meno tutti ci accomuna. Il desiderio di sopravvivere, la disperazione di una esistenza che oramai riteniamo perduta, l’aggressività, la dolcezza, il gioco ma soprattutto l’affezione ed il modo di esprimerla.

E non parlo solo di mammiferi, parlo di tutte le specie animali che mi sono capitate davanti agli occhi. A volte persino nelle piante.
E ogni volta mi dico: “…è come se tutti rispondessimo ad un codice, un modo, qualcosa che ci spinge verso ciò che unisce…”

Chiamiamolo istinto di conservazione, come cosa più ovvia da fare se vuoi sperare di continuare ad esserci, tu, la tua prole, la tua specie. Quel che vuoi. E capisco anche come possa sembrare avvilente ridurre tutto a un qualcosa di meccanico, utilitaristico senza l’ombra di una luce che ci distacca un po’ dal terreno e dalla materia.

E’ forse scritto nel DNA ? Quella infinita sequenza di nucleotidi che pur seguendo una precisa disposizione è così varia eppure così comune da renderci diversi e uguali allo stesso tempo ?

L’uomo tenta di decifrare questo codice. Noi viviamo di codici da criptare e da decifrare. Come perennemente alla ricerca di qualcosa di prezioso da custodire e nel contempo da rivelare.
Protezione e scoperta, conservazione e condivisione, difesa ed espansione. Termini che portano con loro lati buoni e meno buoni. Dipende sempre dallo scopo del loro uso.

Ma allora quando scegliamo lo scopo delle nostre azioni, cosa stiamo guardando ?

Non mi definisco un credente secondo l’accezione più diffusa del termine, cioè quella legata ad un Essere che ha creato tutto ciò che vediamo e che non possiamo. Nella mia vita ho passato tante fasi, ho creduto tante cose più o meno ferventemente.
A volte mi tornano alla mente quei periodi e non riesco a sorriderne come un adulto che ripensa alle sue ingenuità di bambino.
Perché non so se sono arrivato o sono solo alla tappa di un viaggio che prima o poi finirà (?)
Pur tuttavia in ognuno dei miei passi ho trovato qualcosa da conservare, come una tessera da inserire in un puzzle del quale a volte intuisco la cornice ma che temo non saprò mai definire con una miglior precisione.

La cosa di cui mi sono reso conto è che certe cose non sono inconciliabili a meno di voler cadere nella trappola dell’ortodossia e del dogma.
La Scienza stessa ci insegna come tutto sia evoluzione e non solo per ciò che attiene la materia. Perché al variare della comprensione, della percezione, inevitabilmente deve cambiare in noi il modo di definire le cose nuove, trovare nuovi termini e scoprire che dietro il muro sfondato c’è un nuovo tunnel da percorrere e illuminare con quello che abbiamo a disposizione.

Se è vero e riconosciuto che nella superbia non c’è nulla che venga di buono, allora questo principio dovrebbe essere applicato in qualsiasi settore della nostra esperienza umana.

E io non so decidere.
Non so decidere in cosa credere, la mia mente immagina ma è limitata. Anche se non è la stessa di ieri. Come per tutti noi del resto.
In essa trovano spazio i credo di ieri, le convinzioni di oggi e le speranze di domani.
E la mia speranza è che spero nella mia limitatezza.
Mi spiego: spero di immaginare un infinitesimo di quella che è la Verità.

Abbiamo per un motivo o per l’altro che non sto a spiegare, dal mio punto di vista, abbandonato il dubbio.
E allora o non mettiamo più nulla in discussione oppure pensiamo di poter spiegare tutto….e non lo mettiamo in discussione.
Per cui una cosa c’è in cui credo di credere ed è che l’uomo, con le sue grandi possibilità ed altrettanto grandi responsabilità che da queste gli derivano, ha bisogno del senso del mistico, del mistero.
Un mistero che sia per noi qualcosa di prezioso da conservare (come atteggiamento) ma che ci dìà un senso di unità, di simiglianza, di comune provenienza.
Quale il comune fattore di tutto ciò ?
Qui mi fermo perché poi si entra con tutti e due i piedi nella palude della materia. O forse con uno solo…

Come prima

Come prima

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Da quando si sarebbe capito che la pandemia del coronavirus non sarebbe finita durante la canonica stagione come tutti gli anni, qualcuno ha avuto l’ardire di pensare che la paura di morire, l’infinita serie di problemi (molti dei quali hanno contribuito ad aumentare il numero dei morti), la solitudine forzata, la rottura di tutte le nostre routine quotidiane.. qualcosa sarebbe cambiato nell’animo umano. L’illusione, la stanca speranza senza nemmeno troppa convinzione però, che l’essere umano sarebbe inevitabilmente e definitivamente cambiato…. almeno per un po’.

Io non so se siano i famigerati colpi di coda, ma mi pare che almeno fino ad oggi, a virus in corsa, ognuno di noi forse (perché spero di sbagliarmi) è rimasto quello che era. Ha paura e come colui che ha paura per la propria vita a causa di qualcosa che non vede, tende ad affidarsi a ciò che non vede come se questa cosa cui si affida facesse parte dello stesso regno di provenienza del male.

Ma al di là dei discorsi immateriali, ho notato che il male di tanti non mette alcun freno all’ingordigia dei soliti. E per soliti mi riferisco a chiunque, di qualsiasi estrazione che, forse per una fede innata nel fatto che “fine del mondo o no” le cose continueranno, pensa ancora ad accumulare, a raggirare, a felicitarsi di far fesse quante più persone possibili.
Ognuno di essi nel proprio piccolo, a modo loro dice: chi se ne frega ? mors tua, vita mea.

Poi c’è chi non trovandosi nella possibilità di fare altrettanto, crepa dalla rabbia di vendetta, sperando nella punizione esemplare di coloro che in fondo sono solo loro miti irraggiungibili. O presunti tali. Magari avendo meno timore di quella punizione tanto invocata, magari per via di una morale mal sopportata e non abbastanza ricompensata, non trovano il coraggio o la giustificazione per fare allo stesso modo dei loro eroi.

Io non so se potrà mai esserci un cambiamento. Le persone per bene, o che conoscono ciò che è buono, se hanno la forza di resistere, resteranno quel che sono. Nella loro dimensione continueranno ad essere un valido esempio per chi vuol passare dalle parole ai fatti.
Anche alle parole e basta. Ché già anche nelle parole si vede il marciume che avvelena le nostre giornate.

C’è un’immagine per la quale FB è rappresentato da un paio di mani che versano del cibo sul piatto dell’ego. E’ riduttivo.
O meglio sempre di ego si tratta, anche nel riaffermare le proprie inemendabili convinzioni. Che poi il più delle volte sono convinzioni altrui. fatte proprie senza un briciolo di critica.

Ma ora che mi fermo un attimo a riflettere… capisco quanto io sia polemico.
Dopotutto è ciò che mi viene sbattuto in faccia tutte le volte che ho qualcosa da dire al di fuori del “mainstream sognante”. Quello dei giorni in cui tutto va bene e tutto è perfetto e bello.
E allora.. anche quello che ho scritto qui sopra… è meglio scriverlo qui, dove nessuno legge se non per puro incidente.
Che tanto non mi servono altre persone per spiegarmi quanto io sia sbagliato.

Gli altruisti sono antipatici. E la colpa è solo loro – Il Sole 24 ORE

Gli altruisti sono antipatici. E la colpa è solo loro – Il Sole 24 ORE

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Il titolo è un po’ fuorviante e non mi convince nella spiegazione relativa all’avversione verso i “troppo zelanti” i “troppo altruisti” come una sorta di condanna sociale e che possiamo trovare in quei luoghi dove certe ideologie si sono storicamente fatte maggiormente strada (guarda caso). Il fatto è, secondo me, che si può cercare di insegnare o anche caldamente consigliare (diciamo così) che certi modi di essere e fare debbano provenire un po’ da tutti e non solo da una sorta di “super eroi” dell’altruismo che automaticamente relega quella filosofia a quasi totale appannaggio di persone particolarmente volonterose e nessun altro. In una società che davvero pensa anche a chi non ce la fa, oltre ad eliminare quei fattori che determinano la discesa sociale, è più che giusto promuovere dei comportamenti che creino un solido e diffuso sostegno come regola da porsi collettivamente. E non lasciare solo l’iniziativa alla “bontà d’animo” del singolo. Un po’ come funziona la carità dove l’assistenza latita (non assistenzialismo sterile che alla fine assomiglia alla carità e spesso è indice di spreco di risorse soprattutto perché spesso assegnate in maniera arbitraria e per nulla funzionale).
In definitiva non dimentichiamo che è pur sempre IlSole24Ore.

di seguito l’articolo

In Italia, queste posizioni hanno acquistato, negli ultimi anni, una forza di persuasione notevole, fino al punto di condizionare spesso il dibattito pubblico e perfino l’azione politica

Sorgente: Gli altruisti sono antipatici. E la colpa è solo loro – Il Sole 24 ORE

Too close to the ground

Too close to the ground

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Avevo un sogno che fino a un po’ di tempo fa era ricorrente. Salivo su di un marciapiede alto pochi centimetri rispetto al piano stradale e da lì “spiccavo” il volo compiendo un salto.
La cosa era già ridicola così: da una simile altezza come avrei potuto volare davvero ?
E poi volando, mi abbassavo e mi abbassavo sempre di più verso il terreno, fino a quasi strisciare, mentre cercavo di sbattere le braccia per non toccare terra.
Ma questo sforzo era oltretutto vano perché così vicino al terreno come mi trovavo, le braccia non avevano che uno spazio limitato per potersi muovere e tenermi su.
Ricordo il senso di frustrazione e impotenza nel non poter fare nulla di più che fluttuare tra l’aria e la terra… fino a che mi svegliavo. O almeno io questo credevo ma mi ritrovavo ancora su quel marciapiede.
E via di nuovo in un loop infinito…fino al definitivo risveglio.
Col senno di poi non ho potuto fare a meno di pensare a quanto questo sogno fosse stata la metafora della mia vita. O almeno di come io sento di averla vissuta.
Non cerco compassione, non voglio parole che mi dicano: “ma no dài, cosa dici ? non essere così pessimista”.
Questa è la mia visione, magari parziale, magari autocommiserante, ma questa è, e non voglio fingere che sia diversamente da come sento.

A volte succede di poter pensare che “grandi pianure potrei, trovare io” ma accade sempre qualcosa che mi ricorda di non volare mai troppo in alto. Vorrei dire che ci fai l’abitudine: illuso. Non ce la si fa mai.