Ricordo.

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Ricordo quel giorno. Un’edizione straordinaria, tante macerie, la gente dall’espressione terrorizzata, incredula, qualcuno che si muoveva dando l’idea che stesse facendo qualcosa e magari era così o solo per avere l’impressione di poter fare qualcosa. I vigili del fuoco e le forze dell’ordine, la voce del commentatore televisivo. Un tono che tanto e troppe volte avrei riascoltato nelle ritrasmissioni dei filmati d’epoca.. nelle tante e troppe tragedie che hanno sconquassato la nostra storia recente.

Frecce di carta nel muro

L’orologio fermo. Diventerà il simbolo ma, non sono molto sicuro che sia il simbolo di una strage di innocenti, piuttosto del tempo che si è fermato e da allora non è più ripartito. Per loro che sono morti, per i loro cari, per la nostra idea di libertà, per la nostra idea di democrazia, ma soprattutto l’ennesimo orologio rotto nel tempo della giustizia. Che non è quella con la bava verde che oggi vorrebbe impiccato qualcuno anche solo per un divieto di sosta, bensì quella dovuta alla dignità e al senso di anche una sola vita di un essere umano (ma direi vivente) strappata via per cosa ? Qualcosa di più grande ? E cosa sarebbe questa cosa più grande ? Perché poi vai a intravedere (perché non vedrai mai tutto il quadro completo, puoi intuirlo. sì ma qualcuno beffardamente ti farà notare che non saprai mai) ed è sempre il vantaggio di quei pochi da sempre e per sempre (?)

Nelle nostre case al sicuro (?)

Ricordo i miei genitori che guardavano attoniti la tv. Come la guardarono anni prima, attoniti, forse come mi sentivo anche io che pure avevo solo 13 anni ma se ci vado a pensare indietro coi ricordi, mi ritrovo ancora ad aver paura, terrore, non ci dormivo la notte.

C’era una trasmissione allora, era il 1974, si chiamava “A-Z un fatto, come e perché”. La sua sigla era una musica che assomigliava ad una nenia (riascoltandone l’introduzione ho scoperto che erano degli archi) che ti entrava nel cervello e non ho più potuto separarla dalle immagini di poveri corpi coperti da lenzuola e senza vita. Pezzi di arredo stradale sparsi in giro per la piazza. Le solite persone che girano in mezzo a tutto questo e tu da ingenuo ignorante non capisci se siano solo curiosi, investigatori, volenterosi o magari solerti depistatori.

Un fiume che tutto travolge. Ma a qualcuno di più.

Quarant’anni. Passati invano qualcuno direbbe nelle sue cronache. Ma non è retorica, è la verità. Perché come è già successo in altri episodi, le responsabilità sono fumose, i personaggi una sagoma anonima di cartone, alcuni muoiono per cause naturali o per malattia, ben sapendo che anche se non saranno mai giudicati da nessuno, comunque un’assoluzione, qui sulla terra, qualcuno gliel’avrà comminata in qualche modo. Chi siamo noi per indagare quegli oscuri disegni, dopotutto ? E coloro che son rimasti impigliati nelle maglie di ciò che rimane della giustizia, col tempo vivono una vita migliore della tua. Mentre la tua vita è rimasta segnata da quei fatti.. è l’economia dell’universo (mi diceva qualcuno) ma i conti non ci tornano mai. Pensa un po’ se son tornati a chi quel mattino è uscito per partire o per andare a prendere chi tornava… e non è mai più tornato.