Delitti, castighi e la gogna social.

Delitti, castighi e la gogna social.

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Non so se sia come quando cade un aereo e poi per un buon mese ne cadono altri come mosche in autunno, ma questo che stiamo vivendo sembra un periodo, leggendo i giornali, in cui tanti ragazzi muoiono per le botte rimediate da esseri che sembrano tutto fuorché umani.
Eppure entrambi sono esseri umani. E no, non voglio fare un discorso “buonista” come spesso si viene accusati proprio da coloro che quella violenza la dispensano o vorrebbero dispensarla a piene mani.

Guardavo le foto dei protagonisti di questo delitto.
Della vittima, un ragazzo di 21 anni, le puoi trovare negli articoli che ne parlano, parole struggenti della mamma e degli amici. Un bruttissimo episodio come se ne leggono oramai troppo spesso.
Ma la mia curiosità, forse come per molte altre persone mi ha spinto a cercare i colpevoli.
Di questi a parte una foto presa dai profili FB, si trova poco tranne per uno di essi che o per dimenticanza o per spavalderia a oltranza, ha pubblicato un video “divertente” anche dopo il fatto e ha lasciato il proprio profilo aperto persino ai commenti degli estranei.

Sono rimasto colpito dalle foto di uno di quegli assassini.
Le immagini sulla sua home page mostrano il tipico cultore del proprio corpo, tutto muscoli, le pose tipiche, lo sguardo truce e “consapevole” della propria prestanza fisica.

Repubblica ha messo anche sui tanti tatuaggi che rivestono quel corpo, tra le caratteristiche da evidenziare.
E’ la solita Repubblica, sempre più ricurva sui luoghi comuni che l’accomunano quasi a quei giornali che dovrebbero essere suoi antagonisti politici e invece lo sono solo per le vendite.

Scorrendo le foto del suo album, se si va abbastanza indietro nel tempo, si vedono le foto di quando era poco più che adolescente. Quando nei selfie provava le pose da duro, coi capelli alla moda, lo sguardo di quello che “ehi, state attenti voi…” ma forse allora ancora qualcuno che “voleva essere” e magari non era. Questo non lo so.
E’ la trasformazione che è impressionante e non solo nel corpo a quanto si è visto. E’ facile chiedersi come si possa diventare una persona che riesca a tenere separato ciò che fa dal rimorso che ne dovrebbe derivare.

Ma dopo questo, i miei occhi vanno sui post e gli inevitabili commenti di coloro che dopo la terribile notizia si son messi alla caccia del mostro.
Come si può immaginare la massa di insulti che si è riversata sul profilo incriminato non ha pari. Se il pomeriggio se ne contavano a poche centinaia, la sera tardi erano già quasi 4000 mentre il contatore continua a salire.
Le sue amicizie da oltre 3300 ovviamente sono diminuite. Tutte persone che per ripugnanza o per opportunità, immagino, hanno cancellato il suo nominativo dalla propria lista degli amici.

Non mi sento certo di condannare questi ultimi, ma.. rimango perplesso per coloro che arrivano a frotte per insultare.
Oltre alle manifestazioni di disgusto, appaiono gli auguri di morte, di stupro in prigione, le promesse di pari trattamento anche in gruppo. Persino da profili in cui la foto tutto ti fa pensare tranne che i proprietari siano davvero capaci di mettere in pratica il proposito scritto.
Il pensiero successivo è un sospetto: che molti dei commentatori si siano dimenticati della vittima e della sua vita finita anzitempo.
Il sospetto che anche in momenti come questi ad un male se ne aggiunga un altro è molto forte. Un male nato dalla frustrazione forse, magari dalla voglia di apparire, di partecipare in gruppo alla gogna “ché tanto chi mi vede lì in mezzo a tutti quei commenti ?”.

Arrivo, getto il sasso della lapidazione e poi me ne torno dietro a guardare gli altri e l’effetto che fa. Però in una realtà che mi fa sentire irraggiungibile.

Io magari sono troppo pesante nei miei ragionamenti, ma giuro che la cosa non mi mette affatto sicurezza. Non mi fa per niente pensare di stare in mezzo a persone che hanno terrore della violenza gratuita.
Tutt’altro.
E’ un po’ il solito discorso che si fa sui Social Network e sulla loro effettiva utilità e pericolo potenziale per l’anima di una comunità che oramai è grande come il nostro pianeta.

In pratica credo che poco sia cambiato da quando si andava in piazza perché il carretto arrivava con la persona pronta per il patibolo.
E si badi bene, non nutro alcuna simpatia né comprensione verso quei ragazzi che hanno ammazzato uno più giovane e indifeso di loro.
Rappresentano ciò che ho sempre aborrito fin da ragazzo e avrei motivi di rivalsa io stesso verso personaggi come questi.

Eppure la strada davanti a noi non mi pare affatto illuminata.